
L’attività dell’Ambulatorio Medico per i lavoratori stagionali non sarebbe possibile senza il contributo in termini di tempo e competenze dei volontari, nel 2021 una quindicina tra medici e infermieri, che prestano gratuitamente la loro opera. L’Ambulatorio oggi è coordinato dalla dottoressa Tiziana Bertero, medico torinese con un’esperienza trentennale al Mauriziano in ematologia e immunologia, con la collaborazione del dottor Paolo Allemano, medico ospedaliero in pensione, ex consigliere regionale ed ex sindaco di Rifreddo e Saluzzo, dal 2020 volontaria in Caritas. La parte infermieristica, comprensiva del delicato aspetto della manutenzione dell’ambulatorio e del prontuario farmaceutico, è coordinata dall’ex infermiera saluzzese Rinalda Lingua.
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«Qui c’è uno scollamento rispetto al nostro modo di fare il medico – mette in evidenza il dottor Allemano –. Nel nostro lavoro sulla popolazione residente insistiamo molto sulla prevenzione; con i migranti, molti dei quali non hanno casa o servizi igienici, prevale l’aspetto della cura e dell’ascolto. La consegna di un farmaco, anche banale, acquista un particolare significato. Si fidano molto di noi e sono molto propensi a portare tutti i loro problemi, anche aspetti non direttamente legati al lavoro. Sui vaccini, ad esempio, abbiamo incontrato in loro meno resistenze che nella popolazione locale. Si fidano molto del ruolo dei medici e della medicina».
Una fiducia che si crea soprattutto grazie al dialogo, alla discrezione e alla professionalità dei volontari dell’Ambulatorio che, secondo i curanti Bertero e Allemano, qui possono fare «un’esperienza umanamente molto ricca. I pazienti che visitiamo sono persone aperte, che si fidano, arrivano con le infradito e con giacche improbabili e se ne vanno col sorriso perché li hai ascoltati e curati».
«Vorremmo trovare forze nuove – dicono di due volontari – e spiegare ai medici giovani che oggi parlare di salute dei migranti è anche un’opportunità per capire, ad esempio, i condizionamenti culturali e superare i pregiudizi. Per queste persone, ad esempio, la visione del corpo è unitaria, mentre il nostro approccio compartimentale spesso è limitativo. Rimane poi sempre l’imbarazzo di congedare qualcuno con malattia delle vie aeree da raffreddamento che dorme su un viale: questo è un vulnus intollerabile, anche se negli anni si è ridotto grazie a strutture come Casa Madre Teresa, un importante filtro per i casi più vulnerabili. La porta sfondata dell’accoglienza in cascina ha per fortuna ridotto questi casi, eppure, alla domanda su dove dormono, la risposta “fuori” fa calare su di noi una grande angoscia … forse più su di noi visto che per loro ormai fa parte di un modus vivendi».
«Il nostro impegno è quello di capire anche cosa c’è dietro il sintomo – continua Tiziana Bertero – , riuscire ad essere accoglienti, dare attenzione alla persona. A volte far capire ai pazienti che hanno una patologia grave è umanamente difficile. Una cosa che mi angoscia molto è vedere passare tutte queste persone giovani, che al momento sembra non possano arrivare ad un’integrazione e continuano a reiterare un percorso di spostamento da una regione all’altra, con rassegnazione … Lo trovo molto triste e preoccupante: non diventano stanziali, non imparano l’italiano, non trovano un altro lavoro …».
Per entrambi i volontari è infine importante sciogliere eventuali pregiudizi e stereotipi nei confronti di questi lavoratori migranti: «Deve essere chiaro e noto che non ci sono patologie che arrivano con loro, non sono portatori di malattie tropicali e né del viaggiatore, sono in Italia da anni. Al di là di pochi casi gravi e ad alta complessità – evidenzia il dottor Allemano -, le altre patologie che presentano sono problemi di tutti giorni, acuìti dalla povertà e dal disagio costante in cui vivono, che le rendono purtroppo più frequenti. Se arrivano qui e da 10 anni non vedono un igienista dentale, è logico che una carie diventa ascesso e stanno male”.
Benedetta Aimone, 37 anni, dopo due esperienze in Africa prima della laurea, ha lavorato come medico di famiglia, mentre oggi esercita la libera professione occupandosi di medicina integrata.
Insieme alla dottoressa Paola Nicodemo, che ha attivato il primo ambulatorio ISI (centro di assistenza medica per immigrati irregolari, previsto per legge) su base volontaria a Saluzzo, ha organizzato e coordina dal 2014 l’ambulatorio medico per migranti stagionali di Saluzzo convenzionato con l’Asl Cn1 grazie ad un accordo con la Fondazione San Martino. L’ambulatorio ha sede in un locale messo a disposizione della Caritas, la Casa di Pronta Accoglienza, in corso Piemonte 63.
L’ambulatorio lavora in sinergia con lo sportello sanitario del progetto Presidio della Caritas come descritto in questo articolo pubblicato sul Notiziario dell’Ordine dei Medici della provincia di Cuneo n 2/19
Già dal 2009 una prima assistenza medica per i braccianti al loro arrivo nel territorio Saluzzese è stata data da alcuni medici volontari insieme a Benedetta Aimone. Inizialmente si operava con un camper insieme al Comitato Antirazzita.
Oggi nell’ambulatorio i migranti possono trovare medici che forniscono consulenze gratuite e un paio di dentisti che valutano la presa in carico dei vari casi. Queste prestazioni sono tutte volontarie, mentre per le visite specialistiche e gli esami i braccianti pagano il ticket come tutti i cittadini.
Benedetta, quali sono gli aspetti più importanti di questo ambulatorio medico stagionale?
“Per me è importante che non si agisca in modo emergenziale come accadeva al Foro Boario anni fa quando l’unica assistenza era fornita su un camper. È importante dare un accesso alle cure che sia dignitoso, come per tutti i residenti, con una facilitazione in più riguardante l’orario di accesso visti gli orari lavorativi prolungati. I medici di famiglia hanno orari di apertura ambulatoriale variabili, spesso non accessibili a questi lavoratori, inoltre non essendo residenti dovrebbero pagarsi la visita occasionale”.
Quali particolarità riscontrate rispetto ai pazienti dell’ambulatorio?
“Ci sono differenze dal punto di vista linguistico e culturale, non tutti i medici conoscono il francese e l’inglese. Quest’anno vediamo un fenomeno nuovo: sempre più giovani parlano solo il loro dialetto locale, come il bambarà o il mandinga, perciò non hanno una lingua di intermediazione e devono farsi accompagnare alle visite da amici che possano tradurre. Nei primi anni di apertura dell’ambulatorio c’erano più remore ad affidarsi ad un medico giovane e donna, cosa che oggi non abbiamo più riscontrato”.
“Le attenzioni in più che cerchiamo di avere sono rispetto alle condizioni di vita (ad esempio, durante il digiuno del Ramadan) e, in generale, al rischio di disidratazione e scorretta alimentazione perché alcuni disturbi sono strettamente legati a dove dormono e a come mangiano”.
Quale tipo di disturbi riscontrate maggiormente?
“Molti di questi lavoratori presentano problemi di stitichezza perché bevono poco, lavorano sotto il sole e mangiano prevalentemente riso e pasta. La maggior parte delle nostre visite è per disturbi lievi (dolori muscolari dovuti al fatto che dormono per terra o per l’uso della bici o per i pesi che sollevano quotidianamente, infezioni e infiammazioni delle alte vie aeree perché spesso sono senza riparo, disturbi digestivi e problemi odontoiatrici). Ci sono anche alcune situazioni specifiche, poche, che necessitano di una presa in carico ospedaliera o specialistica.
Riscontriamo di anno in anno che molti braccianti non hanno avuto accesso a cure sanitarie tempestive e si presentano con patologie non diagnosticate e non curate, forse perché in altre zone d’Italia è più difficile per loro l’accesso agli ambulatori di medicina generale; spostandosi continuamente inoltre perdono gli esami e le visite di controllo o non hanno i farmaci prescritti delle terapie croniche che dovrebbero seguire”.
Quali sono, invece, dal punto di vista psicologico i disagi più frequenti che riscontrate?
“È molto presente lo stress psicosociale che a noi arriva sotto forma di somatizzazione e ansia rispetto al proprio stato di salute. Le paure si fondano su una situazione di vulnerabilità psicologica anche per le condizioni a cui sono stati esposti sia in Italia che nei paesi di origine, e per la mancanza di una rete sociale di supporto.
La presa in carico psicologica ad oggi non avviene perché non ci sono risorse. Servirebbero specialisti formati in etnopsichiatria ed etnopsicologia che riescano ad adattare i modelli psicologici a quelli delle culture di provenienza. Ci sono disagi medi, dal punto di vista psicologico, più vicini al comune stress che possono essere gestiti a livello relazionale (con attenzione all’aspetto di cura, accompagnamento, comunicazione, contenimento). Ci sono stati, però, anche casi di psicosi acute e schizofrenia, che sono stati diagnosticati e trattati secondo i nostri parametri, ma che dovrebbero essere compresi e includere anche il significato culturale che la persona dà al sintomo. Un sostegno psicologico dovrebbe riuscire a prendere in considerazione tutti questi aspetti”.
Come ti ha cambiato questa esperienza di ambulatorio?
“Come persona, e come medico, l’impatto più forte è stato nei primi anni di assistenza, quando avevamo un approccio più informale e mancava l’ambulatorio strutturato: eravamo più a contatto con la loro difficile realtà di vita quotidiana. In quel periodo ho ospitato per un paio di mesi un giovane africano e questa accoglienza mi ha cambiato molto umanamente. Un cambiamento che poi è stato anche professionale, ampliando la mia ricerca a percorsi formativi paralleli, come la neuropsicosomatica”.
Cosa auspichi e cosa consigli a chi volesse fare volontariato nell’ambulatorio per migranti stagionali?
“Chi volesse fare volontariato presso il nostro ambulatorio dovrebbe ricordarsi chi sono queste persone perché non sono esattamente gli stessi pazienti che potremmo vedere in altre situazioni lavorative (nascono e vivono in contesti ambientali e culturali diversi, possono avere una predisposizione a malattie diverse, e questi sono aspetti che non possiamo dimenticare) tuttavia questa diversità è infinitamente inferiore all’uguaglianza, anche dal punto di vista medico, con la popolazione generale”.
Quali complessità si presentano a chi opera nell’ambulatorio?
“Una parte difficile di questo lavoro è l’avere un’attenzione in più rispetto ai pochi casi specifici, potenzialmente gravi, rimanendo però in un ambito in cui non vengano considerati diversi da tutti gli altri pazienti. La maggior parte dei sintomi e dei disturbi che lamentano sono infatti del tutto sovrapponibili a quelli del resto della popolazione. Dobbiamo saper bilanciare diversità e uguaglianza”.
[continua]