La stagionalità dell’agricoltura in Italia vive delle continue migrazioni interne di lavoratori stranieri che da anni sono i principali protagonisti della raccolta e trasformazione nel nostro Paese: negli anni, infatti, la manodopera straniera che internamente si sposta da un bacino ortofrutticolo all’altro, tra le regioni, ha affiancato (e in larga parte sostituito) i braccianti locali e i braccianti extracomunitari che arrivano tramite il “Decreto Flussi”.
Tuttavia, il divieto di spostamento causato dall’emergenza ha sottolineato le contraddizioni di una filiera che necessita di manodopera, ma non riconosce dignità ai lavoratori stranieri già presenti sul territorio nazionale (di cui molti irregolari), mettendo in forte crisi il settore agricolo.
Sappiamo che la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici vivono in insediamenti spontanei, ghetti o tendopoli in condizioni di completo isolamento, ed in un momento in cui la sostenibilità di un intero settore appare così strettamente connessa alla loro sorte è fondamentale riconoscere il loro ruolo, attraverso tutele e l’accesso ai diritti, con azioni concrete e politiche adeguate.
A questo proposito anche Caritas Italiana ha aderito all’appello lanciato da Terra! Onlus, insieme a sindacati e realtà del Terzo Settore per chiedere al Presidente della Repubblica e ai Ministri dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, e del Lavoro, Nunzia Catalfo, una sanatoria per i braccianti stranieri, per far emergere chi è costretto a vivere e lavorare in condizioni di irregolarità. Se appare impraticabile la strada di un Decreto Flussi per i lavoratori stagionali, la sanatoria richiesta appare come una misura utile in un momento in cui occorre garantire sia il rinnovo dei permessi di soggiorno e che i posti di lavoro per un intero comparto a vocazione agricola.
Servono soluzioni per l’alloggiamento e il reclutamento
Virginia Sabbatini, referente dell’équipe di Saluzzo Migrante, commenta: “Abbiamo letto, nelle scorse settimane, i diversi comunicati del nuovo Tavolo per l’Emergenza frutta del Monviso riguardanti le decisioni in merito alla non apertura delle Accoglienze Diffuse e del dormitorio PAS da parte dei sindaci di Saluzzo, Lagnasco, Costigliole e Verzuolo. Ci lascia perplessi, a due mesi dello scoppio della pandemia, la mancanza di progetti creati su misura per le esigenze del nostro territorio.
Esprimiamo soddisfazione nel riscontrare che il mondo agricolo, con senso di responsabilità, si sia mosso al fine di occuparsi integralmente del fenomeno e di tutti i risvolti connessi alla raccolta agricola. Assieme all’istituzione regionale, ai quattro sindaci dei “Comuni della frutta” che negli anni passati avevano attivato le accoglienze diffuse e per la prima volta da dieci anni alle Organizzazioni dei Produttori, che giocano un ruolo fondamentale nella filiera agroalimentare, è necessario iniziare a costruire una programmazione che possa gestire in modo adeguato il fenomeno, senza dimenticare le sfere più fragili della raccolta, i braccianti.
Da anni chiediamo interventi di sistema da parte di istituzioni regionali e prefettizie, mondo agricolo, sindaci, servizi sociali, riservando alla Caritas un ruolo di sussidiarietà e non di protagonismo, ed in questo senso, negli ultimi due anni, si sono fatti passi avanti, con l’istituzione di nuove accoglienze, in particolar modo grazie al rilevante intervento del Comune di Saluzzo, il Protocollo Regionale per la promozione del lavoro regolare in agricoltura, siglato dalla Regione Piemonte nell’anno passato, la sperimentazione su un incontro pubblico tra la domanda e l’offerta di lavoro avviata a Saluzzo nel 2019 dal Centro Per l’Impiego di Saluzzo, in sinergia con gli enti locali.
Tuttavia, ci rammarichiamo del fatto che a questo tavolo non siano stati coinvolti gli enti che maggiormente toccano con mano alcuni risvolti del fenomeno, tra cui la parte sindacale e la Caritas, che continuano ad offrire servizi e tutela ai braccianti: sembra che la voce di chi rappresenta i lavoratori coinvolti o le persone in stato di fragilità connesse alle operazioni di raccolta non debba potersi esprimere in tale sede.
Riteniamo in ogni modo che questo possa essere un primo passo, significativo, affinché gli enti di competenza possano individuare nuove forme per una gestione responsabile del fenomeno, a dieci anni dalla sua prima manifestazione e a maggior ragione durante un’emergenza sanitaria di questo tipo.
Come Caritas ascoltiamo quotidianamente anche la voce dei piccoli imprenditori agricoli locali, affaticati da una filiera agroalimentare che non restituisce un equo valore del prodotto, in conseguenza della quale spesso si rende difficile rispettare pienamente i contratti siglati con i loro dipendenti: ancor più difficile è occuparsi del loro alloggiamento, a maggior ragione in tempi di Covid-19, che richiedono una attenzione alla sicurezza e alla salvaguardia della salute nei luoghi di lavoro e nei luoghi di alloggiamento. Oggi è il tempo in cui non lasciare soli nessuno e i soggetti più fragili ci sembrano proprio essere da una parte i lavoratori e dall’altra i piccoli coltivatori.
Le proposte che abbiamo letto in queste settimane dai sindacati agricoli, dai sindaci, dalle Organizzazioni dei produttori del territorio sembrano andare verso questa direzione, ritenendo che l’accoglienza in azienda possa essere una risposta idonea e sufficiente per la problematica alloggiativa della manodopera agricola stagionale e richiedendo una totale flessibilità tramite lo sblocco dei voucher (che si presume possano essere uno strumento per impiegare i soggetti più fragili delle nostre comunità come i precettori di reddito di cittadinanza, le persone in cassa integrazione, categorie che avrebbero invece bisogno di rapporti di lavoro stabili e che in ogni caso non sono in numero sufficiente a coprire il fabbisogno di manodopera, che solo nel saluzzese ammonta a 12.000 lavoratori impegnati nel settore frutticolo).
Non è più procrastinabile l’impegno da parte del mondo agricolo di rendere noto il reale fabbisogno delle aziende, in quale periodo si concentri maggiormente la richiesta e se i produttori frutticoli siano in grado di predisporre delle soluzione abitative per i braccianti o meno. In caso negativo, non si può, in un anno delicato come questo, rifiutare l’intervento delle Accoglienze Diffuse pubbliche, che andrebbero replicate nei Comuni che da anni negano il loro ausilio nella gestione responsabile della problematica connessa alle imprese dei loro territori.
Certamente tutto ciò sarebbe impossibile al di fuori di una gestione da parte delle Unità di crisi e con il supporto di enti quali la Protezione Civile o la Croce Rossa, in seguito all’individuazione di protocolli per la sicurezza dei lavoratori che vedano la partecipazione dei sindacati. Fondamentale è, infine, consentire l’accesso a siti di accoglienza in luoghi pubblici o privati da parte degli enti di tutela quali la Caritas, che può fornire un supporto di beni di prima necessità e di tipo sanitario, grazie all’Ambulatorio Medico Stagionale, o dei sindacati stessi, che svolgono un ruolo fondamentale per la promozione del lavoro regolare e la prevenzione a fenomeni di sfruttamento”.
Come Caritas, abbiamo scritto al Comune di Saluzzo, alla Prefettura di Cuneo e alla Regione Piemonte per segnalare che i nostri dormitori non sono idonei, alla luce dell’emergenza sanitaria, ad accogliere le persone senza dimora disponibili al lavoro agricolo che presumibilmente potrebbe arrivare nei prossimi giorni: ad oggi sono due i potenziali braccianti che sono arrivati e sono stati costretti ad alloggiare all’aperto. Speriamo si possa costituire al più presto un comitato di gestione, tramite l’unità di crisi, che possa costituire al più presto un tavolo di confronto che possa occuparsi della tutela di queste persone e della cittadinanza.
La piattaforma regionale Io Lavoro in agricoltura: una possibilità da implementare
Diversi appelli sono stati rivolti dal mondo agricolo circa la necessità di individuare manodopera a fronte dell’assenza del Decreto Flussi, che l’anno scorso ha portato 1200 lavoratori extracomunitari nella provincia di Cuneo per il lavoro stagionale. Dal momento che questa forza lavoro rappresenta una minima percentuale della manodopera stagionale, in tempi di emergenza sanitaria sarebbe prioritario organizzare i flussi interni di migranti che lavorano come stagionali e che ogni anno si spostano a tra le regioni italiane seguendo la geografia delle raccolte.
In questo senso andrebbe implementata la piattaforma creata dalla Regione per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro agricolo.
“Pur comprendendo le motivazioni che spingono a prediligere la manodopera locale – spiega Virginia Sabbatini-, ribadiamo che difficilmente la disponibilità di lavoratori dal territorio possa rispondere al grande fabbisogno stagionale del comparto. Parallelamente, i primi arrivi di questi giorni confermano come i braccianti stagionali continuino, nonostante l’emergenza sanitaria, a spostarsi tra le regioni seguendo le stagioni di raccolta. Una situazione destinata ad aumentare con l’allentamento delle restrizioni alla mobilità a cui potremmo assistere nei mesi futuri, a maggior ragione con una stagione di raccolta che si è allungata negli anni passati e si conclude ormai nei mesi invernali.
E’ allora di importanza cruciale l’individuazione di un sistema di reclutamento a distanza , pubblico, che superi le consuetudini del territorio. In assenza di un sistema efficace e pubblico di incontro tra la domanda e l’offerta, gestito tramite piattaforme virtuali, osserviamo come da anni gli imprenditori agricoli da anni assumano i braccianti aspettando che arrivino nel campo a proporsi, chiedendo ad altri dipendenti fidelizzati di chiamare degli “amici” o andando al Foro Boario. Un sistema insostenibile, se si considera che la manodopera arriva fino a 12.000 unità, che i flussi extracomunitari rappresentano ormai meno del 10% di questo fabbisogno e che gli autoctoni sono poco interessati a questo tipo di lavoro. Tale sistema offre spazio a fenomeni di sfruttamento quali il caporalato e produce un costo sociale ingente per il territorio, rendendo impossibile la programmazione degli arrivi e degli alloggiamenti”.
“Ci sembra estremamente positivo – prosegue Sabbatini – lo sviluppo, da parte della Regione Piemonte, della Piattaforma “Io lavoro in agricoltura”, per scongiurare arrivi non programmati: il nostro Presidio sta pubblicizzando l’iscrizione a chi quotidianamente ci telefona, da tutta Italia, per dirci che è stato contattato dal datore di lavoro, che ha visto un servizio televisivo sulla ricerca di manodopera a Saluzzo o che si sta organizzando per venire a cercare il lavoro. I nostri colleghi in altri territori d’Italia supportano i braccianti stagionali nella compilazione, nella speranza che sussista effettivamente la disponibilità da parte del mondo agricolo, dichiarata nei comunicati, ad assumere tramite l’uso di tale sistema e non con le forme non organizzate utilizzate in passato”.
Anche quest’anno la chiusura del dormitorio PAS (Prima Accoglienza Stagionali) e delle strutture dell’Accoglienza Diffusa nei Comuni di Saluzzo, Lagnasco, Costigliole e Verzuolo ha segnato uno spartiacque rispetto alla situazione dei braccianti nel Saluzzese.
L’importante impegno del Comune di Saluzzo con il PAS si è concluso venerdì 22 novembre, dopo averlo annunciato nelle settimane precedenti sia ai lavoratori sia alle parti datoriali, oltre ai diversi attori del Tavolo di coordinamento a cui partecipa la nostra Caritas. La chiusura del dormitorio è stata preceduta dallo smontaggio del campo tendato allestito nell’area adiacente a metà luglio, dopo la manifestazione di un gruppo di braccianti provati da lunghe giornate di intemperie.
Il PAS nei mesi di apertura (da luglio a novembre) ha cambiato “disegno” molto spesso: dormitorio, durante l’estate, sia per persone in cerca di lavoro, sia per lavoratori. Sono sempre stati occupati tutti i 368 posti disponibili e sono stati forniti servizi anche a coloro che non avevano trovato posto all’interno. Da ottobre, con le prime partenze, nonostante la struttura non sia pensata e dunque attrezzata per l’inverno, il numero di persone non è diminuito perché si è assistito ad un costante spostamento di lavoratori dalle tende agli stanzoni interni, in cerca di un riparo dal freddo e dalla pioggia. Questo perché chi rimaneva sul territorio aveva anche nelle prime settimane molto fredde aveva ancora un lavoro.
Rispetto al 2009, quando iniziarono ad arrivare i primi braccianti africani, ormai la stagionalità è quasi ininterrotta. Molti lavoratori, infatti, negli ultimi anni rimangono sul territorio per diversi mesi dopo l’estate. Una stagionalità prolungata dalle nuove colture come la mela rossa invernale, non a caso chiamata “Crimson Snow”. Si sono prolungate così anche le accoglienze, in particolare il PAS, che però non può rappresentare una soluzione per chi ha un lavoro “non più” stagionale. Di conseguenza si è prolungata anche l’attività del nostro Presidio che ha continuato nelle ultime settimane di novembre a dare un supporto, in particolare, a circa 120 lavoratori con un ingaggio. Questo dato evidenzia in modo marcato il cambiamento di stagionalità nell’agricoltura saluzzese.
LUNGHE GIORNATE DI PRESIDIO
La chiusura del PAS, venerdì 22 novembre, è coincisa con una giornata intensa, lunghissima e faticosa per il nostro Presidio. Già nei giorni precedenti, ma sopratutto nel primo pomeriggio di venerdì 22, ci siamo trovati alle prese con le difficoltà di chi, ad accoglienze quasi tutte chiuse (campus Coldiretti, PAS, area tendata e strutture diffuse in chiusura la settimana successiva), pur avendo un contratto non aveva trovato soluzioni.
Ammassata di fronte al nostro Infopoint, venerdì 22 c’era una fila di zaini e borse, voci e sguardi. Erano tra le 20-30 persone. Alcuni agitati, preoccupati, altri rassegnati. Si percepiva la rabbia mista a smarrimento di chi non aveva un “piano B”. Abbiamo trascorso l’intero pomeriggio, fino a tarda sera, ricevendo una ad una tutte le persone in attesa in corso Piemonte. Ognuno è stato fatto entrare nell’ufficio e abbiamo raccolto con discrezione informazioni sulla sua situazione lavorativa e alloggiativa.
C’erano braccianti senza contratto da mesi, che non avevano chiaro il loro futuro, ma avevano già in tasca un biglietto per Reggio Calabria o Torino, chiedevano informazioni su orari e spostamenti. Uno di loro ha finito per dormire in stazione in attesa del treno il giorno dopo. La maggior parte, però, non sapeva dove andare. Molti avevano un contratto fino a fine novembre o dicembre. Alcuni avevano terminato di lavorare, ma erano ancora in attesa di ricevere la paga o del rinnovo di un contratto che gli era stato promesso. In un paio d’ore, quel venerdì abbiamo “mappato” una quindicina di persone in questa situazione. Quel giorno abbiamo raccolto i loro dati, fornito una lista e indicazioni sui dormitori aperti a Cuneo, Savigliano, Torino … alcuni però ci avevano avvisato di essere già colmi: per loro il lavoro viene prima di un tetto.
SENZA UN TETTO, MA CON UN CONTRATTO
Per chi aveva un contratto o attendeva di essere pagato, abbiamo provato a contattare i datori, spiegando la situazione del lavoratore, chiedendo di garantirgli una minima ospitalità o di pagarlo al più presto in modo che avesse i mezzi per acquistare un biglietto e cercare un posto in un dormitorio o raggiungere amici, parenti. Qualcuno non ha voluto dirci il nome dell’azienda per paura che un contatto da parte nostra mettesse a rischio il suo posto di lavoro o facesse sfumare la possibilità di continuarlo.
Quel venerdì abbiamo accompagnato tre lavoratori con problemi di salute a Casa Madre Teresa, struttura dedicata a persone con questo genere di vulnerabilità, dove i 24 posti letto erano già quasi tutti occupati, 3 lavoratori sono stati fatti entrare negli ultimi posti della Casa di Pronta accoglienza della Caritas gestita dalla Papa Giovanni XXIII, che in inverno accoglie i senza fissa dimora per “l’emergenza freddo”. Altri in tarda serata hanno invece raggiunto conoscenti e amici nei paesi limitrofi e nelle accoglienze ancora aperte.
Ad ogni bracciante che quel venerdì è passato al nostro Infopoint abbiamo lasciato il numero del cellulare di Presidio, che ha squillato tutto il giorno, in caso di emergenze. Alle 23 eravamo ancora operativi, in contatto con i dormitori, con i lavoratori, in auto a fare la spola tra Saluzzo, Savigliano e Comuni, portare qualcuno in stazione a prendere un treno, caricare le biciclette e loro averi chiusi in sacchi di plastica.
Questa lunga giornata di Presidio si è conclusa a notte fonda, confrontandoci sulla situazione e sulle condizioni dei braccianti che abbiamo incontrato per tutta la giornata.
ACCOGLIENZA DIFFUSA: UNA SOLUZIONE A TEMPO DETERMINATO
La settimana successiva, con la chiusura delle strutture dell’Accoglienza Diffusa (aperte dai Comuni di Saluzzo, Lagnasco, Costigliole, Verzuolo e gestite dal Consorzio Monviso Solidale per tutto il periodo della raccolta), alcuni lavoratori sono di nuovo venuti al nostro Infopoint dicendo che non sapevano dove dormire.
Abbiamo contattato anche in questo caso i loro datori, scoprendo che le giornate lavorative rimaste erano poche. Abbiamo invitato i datori a comunicarlo ai lavoratori, chiedendo di retribuirli nel giro della giornata o di pochi giorni in modo da permettere loro di avere i mezzi per partire da Saluzzo. Alcuni avevano contratti ancora per un mese, ma hanno rinunciato, vista la prospettiva di non sapere dove dormire. Altri hanno chiesto una coperta per continuare a lavorare dormendo fuori, ma abbiamo cercato di far capire loro che non poteva essere una soluzione. Alcuni hanno trovato ospitalità presso amici, in pochi casi presso il datore di lavoro.
Ci colpisce che alcuni datori di lavoro, che già lo scorso anno avevano avuto braccianti africani senza fissa dimora assunti tra i loro dipendenti, non siano riusciti a provvedere a sistemazioni dignitose. In quella serata alcuni lavoratori hanno dovuto lasciare la Casa del Cimitero a Saluzzo e andare in una cascina messa a disposizione all’ultimo momento dal loro datore.
Ogni chiusura rappresenta la consapevolezza di aver terminato la stagione avendo trovato, insieme ai partner del Tavolo di lavoro sugli stagionali, un posto, un letto sicuro (senza incidenti, incendi, fratture, pioggia). Per contro, veder partire queste persone, salutarli incrociando il loro sguardo incerto sul futuro, la gratitudine per essersi incontrati, ci lascia con sentimenti contrastanti. Per chi resta, per i lavoratori malati ospiti in Casa Madre Teresa o che stanno seguendo un percorso sindacale o legale, per chi prova a costruirsi un futuro oltre la stagione, con un contratto spesso troppo breve per trovare un alloggio in affitto, continua il nostro presidiare.
Anche quest’anno fare Presidio ha significato incontrare, ascoltare, capire …. in una stagione ormai sempre più lunga.
[continua]