
Anche quest’anno, con la fine della stagione della raccolta, è arrivata la chiusura delle Accoglienze Diffuse, messe a disposizione da 9 Comuni su 32 del distretto frutticolo che hanno scelto di aderire al protocollo siglato con Prefettura, Regione e realtà del terzo settore. Nonostante il significativo impegno di queste istituzioni locali, che hanno permesso di aprire e gestire le strutture in un momento così delicato, una volta arrivata la chiusura a fine novembre, non si è trovata una soluzione per i lavoratori rimasti ancora sul territorio, ma senza dimora.
Una condizione, la loro, aggravata dai primi freddi e dalle nevicate di inizio dicembre, oltre alla normativa anti-Covid che limita gli spostamenti tra Comuni e Regioni (tenendo conto che la maggior parte dei braccianti normalmente a fine stagione si sposta al sud per continuare nelle raccolte), oltre alle difficoltà dei dormitori sul territorio di accogliere per via delle limitazioni imposte dalla diffusione del contagio.
Dopo la chiusura delle strutture dell’Accoglienza Diffusa una ventina di braccianti si è ritrovata senza una soluzione alternativa e alcuni di loro si sono presentati alla nostra Caritas con zaini e bagagli senza sapere dove andare. Alcuni hanno contratti ancora attivi con aziende del saluzzese, altri sono in attesa di ricevere la busta paga o di un appuntamento in Questura o, semplicemente, non hanno un posto dove andare.
A differenza degli altri passati, la pandemia ha reso ancora più difficile la situazione con una seconda ondata di contagi che non ha risparmiato le zone del sud Italia, meta dei flussi di braccianti che qui di solito si spostano per proseguire il lavoro di raccolta, ma dove in molti ghetti e tendopoli (da Rosarno e San Ferdinando in Calabria a Castelvetrano in Sicilia) il Covid sta creando situazioni di marginalità estrema e disagio per i braccianti che, impossibilitati ad uscire per le quarantene, rimangono senza reddito e senza mezzi per sopravvivere.
Di fronte a questa situazione la nostra Caritas, alla luce dell’emergenza sanitaria alla quale si aggiungono freddo e neve, ha per settimane chiesto che venissero individuate soluzioni abitative per questi lavoratori senza dimora da parte della Regione, della Prefettura e delle Istituzioni.
Come annunciato dal nostro Direttore, Carlo Rubiolo, nelle scorse settimane, 11 braccianti rimasti senza dimora sono stati ospitati al piano terra di Casa Madre Teresa di Calcutta che, pur non essendo una struttura adeguata ad ospitare nei mesi invernali per l’assenza di una cucina interna e di un numero adeguato di docce, nella prima settimana di dicembre ha riaperto temporaneamente il dormitorio maschile per accogliere questi lavoratori, sottoposti preventivamente ad un tampone rapido.
Per l’approvvigionamento dei pasti si collabora con la fraternità francescana di San Bernardino dove Frate Andrea Nico Grossi, arrivato da poco da Parma, ha messo a disposizione la sua esperienza di gestione di una mensa, cucinando e trasportando ogni giorno i pasti caldi in Casa Madre Teresa, dove ai piani superiori sono ospitati due giovani in situazione di fragilità nel cohousing al primo piano e una famiglia al secondo.
In merito alla situazione, il Direttore Carlo Rubiolo sottolinea:
“La Caritas Diocesana ha deciso di dare ospitalità ad alcuni dei migranti che lavorano come braccianti stagionali, rimasti senza un luogo in cui dormire. Della ventina di persone uscite dalle strutture dell’Accoglienza Diffusa, alcune non hanno mai avuto un tetto. Abbiamo segnalato al Prefetto la gravità della situazione, evidenziando l’assurdità di chiudere le strutture comunali in un momento in cui il lockdown impedisce gli spostamenti tra regioni: se i braccianti vengono fatti uscire, ma non possono raggiungere le zone di provenienza o quelle in cui potrebbero trovare altro lavoro in agricoltura (in particolare al Sud), è ovvio che per loro ci sarà solo il gelo delle notti all’aperto.
Il Prefetto, pur dimostrando attenzione per il problema, ci ha detto che questo tipo di accoglienza non è previsto da alcuna norma o convenzione e che quindi non ci sono spazi per un suo intervento. Nelle strutture della Caritas ci sono solo pochi posti che saranno riservati a coloro che in tutti i mesi passati non hanno mai avuto dove dormire. Saranno ammessi dopo aver fatto il tampone e potranno rimanere fino a quando non verranno eliminate le restrizioni agli spostamenti.
Questa situazione fa emergere con cruda evidenza le carenze di un sistema di protezione invernale per le persone senza dimora, per le quali sono disponibili ad intervenire gli enti caritativi come il nostro”.
Il progetto di “Accoglienza Diffusa” per i braccianti stagionali vede un ampio ruolo di monitoraggio e accompagnamento da parte degli operatori della nostra Caritas. Tramite la referente Virginia Sabbatini, abbiamo voluto riportare il loro punto di vista su un modello che, come descritto nelle due News (parte 1 e parte 2) sul nostro sito, presenta notevoli punti di forza, ma anche criticità rispetto alle quali abbiamo proposto una serie di riflessioni.
Virginia, con quali obiettivi è nato il progetto dell’“Accoglienza Diffusa”?
“Questo progetto è nato in un contesto dove la precarietà abitativa è una condizione costante e paralizzante per i lavoratori stagionali. Le sistemazioni messe a disposizione garantiscono, invece, l’accesso ad un alloggiamento dignitoso e dotato di servizi adeguati. Le “Accoglienze Diffuse”, infatti, sono strutturate per accogliere al massimo 40 persone, in appartamenti, case o campi di container nei quali l’attenzione agli spazi è primaria. Si crea così un contesto più vicino al concetto di “casa”, una maggiore intimità, autonomia e dignità del vivere. Gli effetti positivi sono molteplici”.
Come cambia, all’interno di questo sistema, il ruolo dei braccianti?
“Diciamo che diventano finalmente “protagonisti dell’abitare”. I braccianti che riescono ad accedere ad un alloggiamento adeguato hanno cura del posto in cui abitano. La convivenza e la quotidianità sono autogestite, gli operatori facilitano e stimolano un rapporto di collaborazione tra gli ospiti nella gestione e pulizia degli spazi comuni. Senza dimenticare che è prevista da parte loro una compartecipazione economica”.
Quali sono gli effetti che riscontrate sulla qualità di vita dei braccianti e del loro lavoro?
“Innanzitutto si trovano a vivere molto più vicino al luogo di lavoro: un aspetto significativo per prevenire gli infortuni. I braccianti, infatti, sono molto più esposti ad infortuni se arrivano sui campi affaticati dai lunghi tratti in bicicletta. Inoltre si incide sul rischio di incidenti mentre raggiungono il posto di lavoro, una piaga che aumenta drammaticamente nella stagione autunnale quando, alla fine della giornata, ripartono percorrendo strade già buie.
Le persone accolte a Costigliole, ad esempio, quando dormivano ancora nella zona del Foro Boario erano costrette a svegliarsi ogni mattina alle 5 per avere il tempo di lavarsi e mangiare, viste le lunghe code che si creano in un posto sovraffollato dove i lavandini e i punti cottura sono pochi. Dopo salivano in sella percorrendo in bicicletta almeno 10 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, dopo nove o dieci ore di lavoro nei campi, dal lunedì al sabato. L’avvicinamento al luogo di lavoro, inoltre, contribuisce a contrastare la diffusione di servizi di trasporto illeciti o affidati ad intermediari o caporali”.
Quale impatto ha l’“Accoglienza Diffusa” sulle comunità in cui sono nate le strutture?
“Questo modello facilita l’integrazione e l’inserimento sociale: i piccoli numeri e gli spazi adeguati favoriscono la creazione di una rete sociale, l’instaurarsi di rapporti di buon vicinato e il rispetto delle norme di convivenza. A Verzuolo, ad esempio, i cittadini hanno organizzato delle serate per insegnare agli stagionali il sistema di raccolta differenziata “porta a porta” mentre a Saluzzo sono nati numerosi momenti di incontro, cene condivise e piccoli concerti”.
Spesso, rispetto ai luoghi in cui si ritrovano a vivere i braccianti, sentiamo parlare di veri e propri “ghetti” o “baraccopoli”. L’“Accoglienza Diffusa” può rappresentare un’alternativa a questo rischio?
“Crediamo di sì. La diffusione di piccole accoglienze sul territorio per le persone assunte stagionalmente che, con i contratti previsti dalle normative attuali non riescono a trovare alloggi da affittare, previene la formazione di grandi accampamenti abusivi dove la concentrazione delle persone in spazi inadeguati, la marginalità urbana e la mancanza di servizi concorrono a ghettizzare i braccianti, mettendo in pericolo la loro incolumità e quella del vicinato, oltre a cancellare la dignità di queste persone”.
Come si delinea il rapporto tra voi, operatori della Caritas, e le persone che seguite nell’ “Accoglienza Diffusa”?
“La nostra è un’azione di accompagnamento verso l’autonomia. Nelle Accoglienze Diffuse, il rapporto tra gli operatori e le persone ospitate è individuale e quotidiano. Si crea l’opportunità di conoscere meglio i braccianti, rendendo più efficaci e tempestivi gli interventi di cui necessitano (dall’accompagnamento sanitario al supporto per pratiche burocratiche). Come Caritas ci impegnamo a portare le nostre attività di Presidio nelle strutture dell’ “Accoglienza Diffusa”, affiancando gli operatori del Consorzio Monviso Solidale, per rendere più efficace il percorso di accompagnamento e autonomia dei lavoratori”.
Questa attività di monitoraggio ha effetti anche sul rischio di sfruttamento a cui possono essere esposti questi lavoratori?
“Tramite il monitoraggio nelle strutture dell’“Accoglienza Diffusa” emergono con maggiore chiarezza i lavoratori assunti per l’intero periodo di raccolta, nonostante non abbiano sempre rapporti di lavoro continuativi o con la stessa impresa agricola. Considerato il rischio di irregolarità nella costituzione e nello svolgimento dei rapporti di lavoro a cui sono potenzialmente esposti questi lavoratori stagionali, come evidenziato dal rapporto di Caritas Italiana “Vite Sottocosto” e dal recente “Protocollo d’Intesa sulla promozione del lavoro regolare in agricoltura” promosso dalla Regione Piemonte, è fondamentale in ogni progetto di “Accoglienza Diffusa” ragionare sulle modalità di supporto alla legalità. Durante i nostri Presidi mobili, ad esempio, è più facile confrontarsi con loro sulle condizioni di lavoro. Intanto perché è più facile incontrarli, rispetto a quelli che dormono nella cascina dell’azienda agricola per cui lavorano. Inoltre, avendo una sistemazione abitativa indipendente rispetto alla situazione lavorativa, hanno maggiore forza nel chiedere il rispetto dei loro diritti di lavoratori e delle previsioni dei contratti collettivi.
Il bracciante che dorme per strada o in un accampamento abusivo, infine, può incontrare più facilmente degli intermediari e fare affidamento alle reti di sfruttamento che forzano, rendono isolati e vulnerabili le persone che non hanno alcuna alternativa ad un rapporto di lavoro lontano dalla legalità. Nelle “Accoglienze Diffuse” consegnamo i libretti per segnare le giornate e le ore trascorse nei campi: uno strumento per provare a chiedere il riconoscimento del lavoro effettivamente svolto, in un settore nel quale la mancata contribuzione è sistematica. L’evasione contributiva si traduce nell’impossibilità di accedere a tutele e diritti: la disoccupazione agricola, la mutua, l’ottenimento di un permesso di soggiorno…
Uno strumento per chiedere una equa retribuzione e per monitorare straordinari, festivi, giornate di riposo. Riteniamo che alcune situazioni il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori derivi dall’attuale funzionamento della filiera agricola: in un settore nel quale si continua a generare ricchezza, i piccoli imprenditori del territorio faticano a coprire i costi di produzione. In questo scenario, oltre ad unirci a loro nel chiedere maggiore trasparenza e una distribuzione più equa alle grandi organizzazioni produttive, pensiamo che gli agricoltori debbano investire nella corretta retribuzione e contribuzione dei loro dipendenti (che in alcuni casi permetterebbe loro di accedere al mercato privato degli affitti) e che possano sfruttare progetti come l'”Accoglienza Diffusa” e i Campus Coldiretti per organizzare meglio le sistemazioni alloggiative dei braccianti non residenti sul territorio. Servirebbe, in questo senso, una richiesta più forte alle amministrazioni dei Comuni non ancora aderenti all'”Accoglienza Diffusa”, per organizzare gli alloggiamenti in funzione del reale fabbisogno del territorio”.
In che modo l’”Accoglienza Diffusa” incide, invece, sul territorio?
“L’Accoglienza Diffusa prevede la costruzione di una partnership tra imprese agricole, lavoratori, enti locali ed associazioni del terzo settore finalizzata a migliorare gli interventi sul territorio. Offre, inoltre, un servizio alle imprese agricole sprovviste di strutture adeguate ad alloggiare i dipendenti stagionali, nel momento in cui siano arrivati al di fuori del “Decreto Flussi”. In alcuni Comuni come Saluzzo e Costigliole, ad esempio, questo sistema ha rappresentato anche un’occasione per riqualificare immobili in disuso”.
L’accompagnamento da parte della Caritas non si limita però all’ ”Accoglienza Diffusa” …
“Per le persone che lavorano sul territorio per un periodo superiore ai 5 mesi, come Caritas, insieme ad altri enti del terzo settore, interveniamo con un progetto di inserimento abitativo di lungo periodo, per facilitare la residenzialità e l’interruzione del percorso migratorio interno del bracciante. Si tratta di una tappa fondamentale del processo di integrazione: crediamo che la residenzialità sia oggi più che mai essenziale nelle pratiche di rinnovo dei permessi di soggiorno, nell’accesso ai servizi e nell’esercizio attivo dei propri diritti”.
[continua]