L’accoglienza
necessaria
L’accoglienza
necessaria
Testo, video e fotografie di Andrea Fenoglio
A novembre 2017 ho potuto parlare con un abitante del campo di container per lavoratori stagionali, installato dal Comune di Verzuolo in collaborazione con la Caritas di saluzzo, tramite il progetto di “accoglienza diffusa”. Lui, come quasi tutti d’altronde, non vuole farsi fotografare, non vuole filmare l’intervista ma comunque accetta di parlare. Cosa non scontata, in questi anni ho notato la diminuzione drastica di gente disposta a raccontare la propria situazione. Non so esattamente quali siano le motivazioni di questo ritrarsi. Sicuramente è diventato un cliché intervistare il migrante disagiato, sicuramente chi in passato si è fatto intervistare non ha poi notato nessun beneficio. Come scrivevo nella puntata precedente, quello che si nota è l’accettazione di una vita sommessa in cambio di un po’ di denaro. Questo patto sotto traccia è quello che tiene in piedi la nostra agricoltura, teniamolo presente.
In questo modo le facce perdono i lineamenti e le storie si liquefano nel tran tran abitudinario del quotidiano, dal quale nessuno ha più tanto da guadagnarci, ma, nessuno – questa la forza che tiene su la baracca – è disposto a mollare un centimetro.
Le facce perdono i lineamenti e le storie si liquefano
La storia di D. che registro nelle memo vocali del mio smartphone, è emblematica di tutto il rimosso che rappresenta quello spazio-limbo del Foro Boario.
D. arriva tardi al Foro Boario, all’inizio di agosto, inizia subito a girare la campagna in bicicletta e trova chi gli potrebbe dare lavoro. Ha in tasca la patente da carrellista e il frutticoltore gli promette di chiamarlo di lì a pochi giorni. Così accade e da quel giorno fino al momento dell’intervista, D. viene chiamato a intermittenza. Il nuovo datore di lavoro non sa che D. alloggia nel campo del Foro Boario e non se ne interessa, non sa addirittura che, nel frattempo, a D. viene concesso un posto al campo di Verzuolo, perché provvisto di un contratto lavorativo. A lui basta che D. ci sia nei giorni in cui ne ha bisogno.
Mi sembra che qui stia il nocciolo della questione: l’agricoltore deve preoccuparsi dell’alloggiamento di un dipendente stagionale che non ha dimora vicino al luogo di lavoro? È proprio a questa domanda che cerca di dare risposta la legge Regionale voluta da Allemano, e nella stessa direzione vanno gli sforzi della Caritas, dei Comuni e della stessa Coldiretti, che da anni gestisce due campi di container per ospitare alcuni lavoratori contrattualizzati, venendo incontro alle aziende affiliate.
Si aprono dunque due forme di accoglienza che portano a soluzioni anche molto diverse.
Una è l’accoglienza diffusa sul territorio che tende a svuotare il campo abusivo del Foro Boario e che coinvolge in prima battuta la Caritas in collaborazione con i Comuni. Nasce dall’idea di avvicinare i lavoratori al luogo di lavoro, utilizzando strutture – abbandonate – nei comuni delle imprese agricole che hanno assunto stagionali “domiciliati” al Foro Boario e che non possono o non vogliono ospitare in azienda. I comuni adeguano gli spazi o, in mancanza di strutture, allestiscono un campo di container usufruendo dei fondi regionali della legge 12/2016. Dopodiché la Caritas individua i lavoratori regolarmente contrattualizzati e “trasferisce” il migrante monitorando l’accoglienza. Questo tipo di accoglienza permette di superare l’insicurezza personale e collettiva del grande campo abusivo, evita chilometri di bicicletta, crea connessioni tra i migranti e i cittadini del territorio attraverso progetti di buon vicinato. Nel 2017 i lavoratori che hanno vissuto in accoglienze diffuse sono 190.
Poi c’è l’accoglienza in cascina, da sempre praticata nel mondo agricolo, è diventata un problema con l’arrivo massiccio dei migranti stagionali africani, che hanno creato un surplus di offerta di manodopera e alimentato così rapporti di lavoro come quello di D., diciamo di carattere opportunistico. D’altronde, là dove si creano i presupposti, il mercato tende a “cogliere le occasioni”, ma si può dire che siano soldi risparmiati quelli di chi evita di ospitare uno stagionale che chiaramente non ha un tetto sotto il quale vivere? In una dinamica virtuosa dove si cerca di vendere qualità, garantire un letto allo stagionale che arriva da lontano, dovrebbe essere un tassello fondamentale.
All’inizio, nel 2009, i primi africani subsahariani arrivavano da altre zone d’Italia. Dopo il 2008 molti di loro avevano perso lavoro nelle piccole fabbriche disseminate nella pianura Padana, soprattutto nel nord-est. Con la crisi libica del 2011 si è aperta una nuova pagina delle migrazioni stagionali. Così, a cercare lavoro a Saluzzo, sono arrivate persone che avevano fatto richiesta d’asilo e che avevano ottenuto protezione umanitaria o sussidiaria, lo attestano i DATI 2017 DI SALUZZO MIGRANTE.
I lavoratori che hanno vissuto nelle “Accoglienze Diffuse” diventano meno vulnerabili, fuoriuscendo dalla precarietà abitativa, e più attenti a richiedere condizioni di lavoro eque e legali. Inoltre i migranti versano un contributo economico di 1,5 euro al giorno e, con l’aiuto dei volontari, curano la raccolta differenziata e custodiscono la struttura prima inutilizzata.
Io penso che di “contro” non ce ne siano
La Famiglia Migliore è un esempio di come possa essere facile e immediata l’ospitalità in cascina. Gli stessi lavoratori che lo scorso anno avevano lasciato al Foro Boario*, sono stati accolti nella vecchia casa dei genitori che, con qualche piccola sistemazione, ha potuto ospitare i migranti stagionali. Migliore ha scelto di far pagare loro le spese di gas e luce, in questa maniera il patto con i migranti riesce a chiudersi dignitosamente senza troppi orpelli.
* Va detto che per tre anni, fino allo scorso anno, la Caritas di Saluzzo è intervenuta al foro Boario allestendo un “Campo Solidale” grazie all’aiuto delle Caritas del Piemonte e della Valle d’Aosta. Un campo attrezzato con tende, acqua, luce e servizi igienici per 250 persone e un Presidio con assistenza legale, sanitaria, amministrativa, sindacale. La Caritas ha poi deciso di proseguire con gli sportelli del Progetto Presidio di Caritas Italiana e con il progetto di Accoglienza Diffusa, ma non con il Campo Solidale. Questo perché, dai dati raccolti, era evidente che al Foro Boario vivessero lavoratori e l’operato contribuisse involontariamente a disincentivare l’accoglienza, o comunque, una presa di posizione da parte dei datori di lavoro.
La casa restituisce l’immagine essenziale e arcaica di un atto semplice: ospitare
L’identità della vecchia casa dei nonni continua a vivere come un monito
Quando vado dai Migliore trovo ancora un ultimo ospite in cascina. Si sta preparando per andarsene a lavorare in sud Italia, dove ha altri amici che lo possono ospitare. Rifugge qualsiasi tipo di testimonianza e così, anche di lui, qui, non rimane che una traccia indecifrabile, indistinta, in giorni vissuti come in un presente senza fine. La circolarità delle stagioni, dopo le mele e i kiwi, porta alle arance.
Anche di lui rimane una traccia indecifrabile, indistinta, in un presente che sembra non avere nome
(PARENTESI
Nel folto dei frutteti si nascondono le identità di chi compie il primo gesto di un commercio globale che porta il cibo sulla nostra tavola. Come suona scontato e “buonista” scriverlo!
PARENTESI)
La famiglia Migliore non ha utilizzato la legge regionale per ospitare i lavoratori stagionali. Addirittura non erano a conoscenza dell’esistenza di una legge che li avrebbe facilitati. Hanno investito tremila euro per mettere a posto la casa dei padri, senza farsi troppi problemi e senza chiedersi se ci fosse una qualche facilitazione. Ecco, è proprio di investimento che bisognerebbe parlare, non è un sacrificio che si chiede all’azienda ma una visione diversa che poi, a ben vedere, si riallaccia in maniera potente alla tradizione e all’ospitalità contadina in cambio di manodopera. Occorre adattare quel comportamento etico essenziale al nostro presente, potrebbe rappresentare un passaggio culturale determinante per il nostro futuro prossimo.
A volte sembra di essere vicini al risultato, poter tagliare finalmente il traguardo. Poi guardi l’orizzonte, vedi la curvatura della strada ingobbirsi. Ti accorgi che il traguardo è l’ultimo dei pensieri che devi avere. Lo lasci evaporare nel tuo immaginario e cerchi risultati meno definitivi ai quali appigliarti. L’orizzonte diventa una parete verticale da scalare e la prospettiva cambia radicalmente.
Negli uffici di Saluzzo Migrante si lavora a fianco dei lavoratori stagionali. I migranti vengono accolti e ascoltati. Gli operatori cercano di individuare e interpretare il loro bisogno a partire dalle necessità che esprimono, offrendo un ascolto che spesso è fondamentale per uomini soli, in cerca di una rete sul territorio che li orienti e di una tutela dei loro diritti. La lotta all’esclusione sociale, passa anche attraverso un’assistenza e un sostegno verso l’autonomia, al di là della risposta immediata a necessità materiali. Spesso gli operatori preparano i volontari a non attendere dei “grazie”, perché i migranti non entrano in ufficio cercando aiuto, un’erogazione assistenziale, ma giustizia. E qui ricevono l’accompagnamento necessario per salvaguardare la propria dignità e autonomia.
Alcuni trovano una bicicletta su cauzione per andare a cercare o per raggiungere il luogo di lavoro, una casa o un posto dignitoso in cui vivere. Tutta una serie di cose essenziali, per contribuire al benessere minimo dei lavoratori. Ma i migranti, come dicevamo, vengono innanzitutto accompagnati verso la scoperta e consapevolezza dei propri diritti. Supportati in denunce o vertenze con i datori di lavoro, assistiti da avvocati volontari, messi in contatto con i sindacati locali. Possono accedere ad un ambulatorio medico attivo per cinque mesi l’anno, ogni settimana, grazie alla professionalità e alla disponibilità volontaria di dottori, dentisti e infermieri. L’ambulatorio medico, convenzionato con l’Asl CN1, rappresenta una risposta istituzionale e strutturata, parte di un sistema volto a superare la cultura dell’emergenza. Ricevono consulenze e assistenza amministrativa, orientamento verso i servizi del territorio. Trascorrono un’ora nella normalità e nel silenzio di un ufficio, con una persona che possa raccogliere le loro competenze e aspirazioni, per redigere un curriculum vitae. Raccontano del loro passato, degli affetti, del senso di precarietà, nonostante la continuità dei loro rapporti di lavoro sull’asse Saluzzo-Rosarno. E poi della volontà di fermarsi, di ricostruirsi una vita, di divenire parte integrante del territorio.
La flessibilità precaria agricola rende tutto più complesso, a volte trascina il rapporto tra lavoratori e frutticoltori in un vortice capace di sconvolgere qualsiasi tipo di equilibrio. Ai volontari e agli operatori di Saluzzo Migrante, capitano in mano materiali molto significativi, che aiutano a spellare un po’ più a fondo la realtà, a vederla più vivida e netta. A volte i migranti riportano frasi di datori di lavoro gravi e compromettenti, l’ufficio serve anche a questo, per raccogliere e archiviare una memoria. Analizzando i materiali in possesso di Saluzzo Migrante, mi accorgo che mettono in evidenza un rapporto di forza che relega il migrante al ruolo di comparsa sfocata. Prendere o lasciare, molte delle problematiche che abbiamo esplicitato vengono qui al pettine! Di seguito riporto le frasi (verificate) che mi è stato concesso di pubblicare.
Non è il momento di alimentare il moralismo – anche bigotto – di chi ce l’ha incondizionatamente con i datori di lavoro. Io penso che, attraverso queste frasi risucchiate dal quotidiano buco nero dell’indifferenza, dovremmo ragionare sulla condizione umana di entrambe le parti in causa. Certo, chi pronuncia frasi del genere ne esce malissimo, non sto cercando di giustificarne l’atteggiamento bieco e, in parte, intimidatorio (“se vai dai sindacati non ti assume più nessuno…”). Quello che voglio dire è che questo materiale ci introduce a uno scenario di crisi che coinvolge le basi strutturali della nostra società, i fatti di cronaca lo confermano quotidianamente. Penso che concentrarci solo sui diritti dei lavoratori stagionali sarebbe un errore. Per cercare di risolvere in maniera radicale il problema, occorre ascoltare anche il malessere del frutticoltore. Il disagio economico, sociale e culturale che esce fuori da queste frasi randagie. La condizione di un uomo che sembra non avere scelta, rinchiuso in una sorta di recinto immaginario nel quale si sente assediato. Se rinunciamo a connettere la condizione del migrante a quella dell’autoctono, se ci limitiamo solo alla contrapposizione, mi sembra che non vediamo un nodo determinante per riuscire a districare il groviglio problematico che si presenta di fronte a noi in tutta la sua drammaticità.
Il buco nero
dell’indifferenza
quotidiana
Un operatore di Saluzzo Migrante con le coperte raccolte quest’anno per il campo del Foro Boario
In questi anni ho documentato due fattori che – ne sono convinto – in un imminente futuro, diventeranno sempre più determinanti. Uno è il potenziale umano rappresentato da una relazione propositiva e collaborativa tra migranti stagionali e autoctoni. L’altro è la crisi del settore agricolo che necessita di superare, al contempo, imposizioni al ribasso della grande distribuzione e pratiche vetuste di impresa. La nuova frontiera passa attraverso la qualità, la diversificazione, il bio-tech. Ne parlerà nella prossima puntata l’agronomo Antonio Pascale.
Post Scriptum
Quando sono andato negli uffici del comune di Saluzzo, per consultare le linee guida che regolano l’applicazione della legge regionale 12/2016, sono riuscito a rintracciare qualche nominativo di agricoltori che l’avevano utilizzata per mettere in regola una parte di cascina o poter piazzare dei container. Quando ho visto il nome di un giovane impegnato in politica con la Lega Nord l’ho chiamato subito, perché mi sembrava una bella storia da raccontare. In prima battuta ha finto di non avere mai usufruito della legge, poi mi ha dato un paio di appuntamenti ai quali però non si è presentato. Penso che questo episodio sia indicativo di come si possa ragionare sul tema dell’ospitalità dando delle soluzioni pratiche (la legge regionale), al di là delle convenienze politiche di poterne parlare o meno.
Ecco le LINEE GUIDA della legge regionale che facilita l’ospitalità in azienda
abbiamo sentito
Mauro Calderoni, attuale sindaco di Saluzzo
D., lavoratore stagionale
Mauro Migliore, frutticoltore
Silvana Migliore, frutticoltrice