Skip to main content

Anche il progetto Saluzzo Migrante aderisce all’appello (pubblicato qui) promosso da associazioni quali ASGI e Antigone, rivolto alla Prefettura di Torino dopo la morte nel CPR (Centro di permanenza e rimpatrio) del capoluogo piemontese di un 23enne originario del Gambia nella notte tra sabato 22 e domenica 23 maggio.

La notizia della morte di Moussa Balde, portato nella struttura in quanto irregolare dopo aver subito un’aggressione a Ventimiglia lo scorso 9 maggio, secondo i promotori dell’appello rappresenta un ennesimo, grave episodio che riaccende i riflettori sulle responsabilità delle organizzazioni statali in merito al rispetto dei diritti fondamentali delle persone extracomunitarie, spesso vittime di irregolarità e abusi.

Nel Saluzzese ogni anno gli operatori di Saluzzo Migrante incontrano migranti senza permesso di soggiorno, la cui esistenza rimane connotata da invisibilità e sofferenza. Al contrario, questa dimensione viene meno quando li si etichetta esclusivamente per la loro funzione, quella di braccia utili all’economia agricola locale che ogni stagione li recluta come manodopera. Come se la loro dignità e l’esistenza andasse riconosciuta (e raccontata) solo in quanto strumentali al soddisfare un bisogno del sistema produttivo anziché in quanto persone.

Nell’esperienza degli operatori di Saluzzo Migrante sono moltissimi i casi di chi ha perso il permesso di soggiorno a causa di una burocrazia che diventa discriminatoria per via della farraginosità degli iter che rendono impossibile il rinnovo. La precarietà di questa condizione spesso mina anche l’equilibrio psicofisico delle persone che gli operatori di Saluzzo Migrante incontrano, sommandosi ai già numerosi traumi legati al percorso migratorio e alla permanenza in Italia, magari in luoghi ad alto sfruttamento e caporalato. L’attività di Presidio nasce proprio per fornire un adeguato accompagnamento e comprensione dell’iter per poter ottenere i documenti necessari a rimanere regolarmente in Italia.

La storia di Moussa Balde ricorda una situazione simile, incontrata un anno e mezzo fa dai nostri operatori, quella di M.K. arrivato a Saluzzo con una diagnosi da disturbo post-traumatico da stress, si è presentato al Presidio con una situazione di forte instabilità emotiva e con un permesso di un soggiorno scaduto. M.K. non era riuscito ad ottenere nuovamente la protezione umanitaria perché, vivendo in strada, gli era stata negata la possibilità di rinnovarlo, nonostante la legge preveda la possibilità di farlo anche per i senza dimora, nonostante non abbiamo un indirizzo di domicilio stabile.

Agli occhi degli operatori di Saluzzo Migrante M.K. è subito parsa come una persona estremamente fragile (tanto da aver più volte minacciato di togliersi la vita), tale da aver bisogno di uno specifico sostegno. Una persona divenuta involontariamente “invisibile” per le Istituzioni. La sua condizione ha richiesto da parte di Saluzzo Migrante un lungo accompagnamento, complicato dai limiti delle Istituzioni territoriali (servizi sociali, strutture di accoglienza per i lavoratori stagionali, servizio sanitario nazionale).

Grazie al supporto del Presidio e all’orientamento legale fornito dalle cliniche dell’International University College che collaborano con Saluzzo Migrante, M.K. oggi ha un permesso di soggiorno come rifugiato politico, il titolo più alto di protezione che viene riconosciuto dallo Stato Italiano. Oggi sta cercando non senza fatica di ottenere il documento, a distanza di oltre 4 mesi dal riconoscimento. Grazie agli operatori è stato coinvolto in un progetto di formazione professionale apistica per consolidare una professionalità che lo faccia uscire dalla precarietà del lavoro stagionale.

M.K. è solo uno dei centinaia di migranti che il Presidio incontra ogni anno, persone che senza il supporto di volontari e realtà del Terzo Settore coinvolte da Saluzzo Migrante rischiano di rimanere invisibili. Il reato di clandestinità è l’unico, introdotto nel sistema penale italiano, a punire uno status e non un’azione: il rischio di condurre un’esistenza degradante, fatta di esclusione e marginalità, che può condurre ad una morte di Stato, come è stato per Moussa Balde.

Ci uniamo all’appello per chiedere che sia fatta chiarezza sulla morte di questo giovane e su tutte le inadempienze nel garantire i diritti delle persone a cui assistiamo da troppi anni, affinchè per chiunque siano garantiti diritti, dignità e libertà.