

Dopo aver descritto come funziona l’ “Accoglienza Diffusa” nella scorsa News pubblicata sul nostro sito, un ulteriore approfondimento su questo modello per soluzioni temporanee abitative destinate ai braccianti che non hanno trovato altre soluzioni al loro arrivo durante la stagione di raccolta nel Saluzzese.
I PUNTI DI FORZA
Una delle ricchezze del sistema di “Accoglienza Diffusa” è la circolarità delle persone: i posti letto, infatti, non sono sempre occupati dagli stessi braccianti, anche perché lavorano in momenti dell’anno diversi a seconda dei tipi di raccolta. Ne risulta che il numero di lavoratori ospitati a rotazione supera il numero di posti messi a disposizione dal sistema.
Molto più importanti sono altri effetti positivi generati dall’inserimento in queste strutture, come la creazione di un contesto più vicino al concetto di “casa”, con una maggiore intimità, autonomia e dignità del vivere, stimolando inoltre un rapporto di collaborazione tra gli ospiti nella gestione e pulizia degli spazi comuni. Soprattutto i siti necessitano ancora di miglioramenti: più servizi e punti cottura, soluzioni strutturali per il freddo autunnale.
Dal punto di vista logistico, specie a Costigliole e Verzuolo, i braccianti si trovano a risiedere molto più vicino al luogo di lavoro, risparmiando così molti chilometri in bicicletta per raggiungere i frutteti rispetto a quando partivano dal Foro Boario di Saluzzo. Un aspetto che incide anche sulla riduzione del rischio di incidenti mentre raggiungono il posto di lavoro. Infine, per gli operatori dell’ “Accoglienza Diffusa” si crea l’opportunità di conoscere meglio le persone ospitate, i loro bisogni, la loro situazione lavorativa, rendendo più efficaci e tempestivi gli interventi (di carattere amministrativo, sanitario …) sul singolo.
LE DIFFERENZE RISPETTO AI “CAMPUS” COLDIRETTI
I quattro siti dell’ “Accoglienza Diffusa” nei Comuni di Saluzzo, Lagnasco, Costigliole e Verzuolo presentano notevoli differenze tra loro: due sono luoghi di passaggio significativi perché sono “siti-case” (a Costigliole si tratta di un appartamento in centro messo a disposizione dal Comune e di un ex casello ferroviario, l’altra è l’ex Casa del Custode del Cimitero a Saluzzo). Queste strutture rappresentano, in alcuni casi, una condizione molto importante per consentire al bracciante di trovare una sistemazione autonoma e continuativa sul territorio attraverso l’affitto di un’abitazione privata.
La Casa del Cimitero è la struttura più ampia dei 4 siti e in alcuni momenti della stagione ospita oltre 40 persone: l’affollamento può generare tensioni per l’utilizzo degli spazi comuni; Inoltre una zona della “casa” non ha il riscaldamento e quindi è difficilmente utilizzata in autunno e inverno.
A Verzuolo e Lagnasco, invece, le strutture sono costituite da container collocati in due piazzali, come descritto nella prima parte della News. In tutti i casi si tratta di soluzioni abitative fortemente diverse dal PAS, il dormitorio allestito dal Comune di Saluzzo in un’ex caserma accanto al Foro Boario.
Quelle nei container seguono il modello dei “campus” della Coldiretti a Saluzzo (vicino allo stadio “Damiano”) e a Lagnasco dove Caritas, sindacati e il Consorzio Monviso Solidale non rientrano né nella gestione né nell’attività di supporto (in tutto contano 78 posti, di cui 48 a Saluzzo e 30 a Lagnasco).
Nei “campus” della Coldiretti il sistema d’ingresso del lavoratore è completamente diverso rispetto a quello previsto nelle strutture dell’ “Accoglienza Diffusa”, infatti è totalmente in capo all’imprenditore agricolo. Ogni anno, in primavera, la Coldiretti invia una lettera alle aziende socie per invitarle a prenotare un posto nei “campus”, supportando le spese con un contributo giornaliero di 2.50€ (stessa cifra che viene chiesta come contributo volontario alle aziende dai sindaci dei 4 Comuni coinvolti nell’ “Accoglienza Diffusa”). La Coldiretti, a seconda delle prenotazioni ricevute dalle aziende, si fa carico di tutta la gestione del “campus”, contattando il bracciante che così può arrivare nel Saluzzese e trovare già un posto letto assegnato.
Sulle centinaia di aziende iscritte alla Coldiretti, però, solo una trentina seguono questa modalità. Il sistema crea condizioni migliori di accoglienza per i braccianti che lavorano presso le aziende che aderiscono, ma riguarda solo una minima parte dei braccianti che prima dormivano al PAS o all’aperto lungo il viale del Foro Boario. Spesso, infatti, sono i braccianti più fidelizzati a trovare un posto nei “campus” Coldiretti.
Questo sistema, se potenziato, sarebbe premiale perché consentirebbe di organizzare l’assegnazione di un posto letto prima dell’arrivo del bracciante sul territorio, evitando lunghe giornate in cui finiscono per accamparsi in città mentre cercano un posto letto al riparo.
I Campus della Coldiretti, inoltre, hanno un periodo di apertura che non sempre coincide con l’intero arco della stagione di raccolta: aprono a luglio e chiudono a fine ottobre. L’anno scorso, ad esempio, la nuova tipologia di mela invernale ha protratto oltre l’estate il periodo di impiego di numerosi lavoratori.
GLI EFFETTI DEL MODELLO “ACCOGLIENZA DIFFUSA”
Come testimoniano gli operatori della Caritas, con l’ingresso dei braccianti nelle strutture dell’ “Accoglienza Diffusa” si può notare spesso un profondo cambiamento della persona. Chi, come succede alla maggior parte dei casi, prima ha dormito a terra oppure ha vissuto in un ghetto, dopo pochi mesi di lavoro e di vita in un luogo dignitoso, con un monitoraggio e un accompagnamento costante, inizia a parlare più facilmente della propria vita, si apre, vive finalmente una condizione diversa, anche se temporanea, di ri-avvicinamento a una “normalità” alla quale spesso non era più abituato. Una “normalità” che permette a questi lavoratori di ritrovare nuovi stimoli, spesso manifestati dalla volontà di intraprendere un percorso di studi, ottenere la patente di guida, dedicarsi alla ricerca di un’abitazione propria, solitamente da condividere con altri lavoratori per abbattere i costi di affitto e gestione.
Un aspetto molto positivo e interessante è che si tratta dell’unico modello che unisce pubblico (Consorzio Monviso Solidale e Comuni), privato sociale (Caritas e sindacati) e imprenditoria agricola. I sindaci, infatti, acquisiscono i dati di chi usufruisce di un posto letto nelle strutture nel loro Comune (ogni migrante firma un “patto di accoglienza” con regole e tutele per i gestori) e, a loro discrezione, possono poi contattare l’azienda presso cui lavora il migrante per chiedere un contributo alle spese per l’accoglienza. Lo scorso anno, ad esempio, a Lagnasco i contributi delle aziende hanno coperto (insieme ai fondi regionali ed al contributo giornaliero dei migranti) tutte le spese per le strutture. Il contributo dato dal lavoratore stagionale è anche un meccanismo per farlo diventare parte attiva del processo di integrazione abitativa.
CONSIDERAZIONI
Il modello dell’“Accoglienza Diffusa” presenta quindi caratteristiche positive come la replicabilità, la sostenibilità economica, la possibilità di essere rimodulato, un ruolo attivo del bracciante e un’integrazione tra pubblico, privato sociale e imprese agricole. Restano, tuttavia, alcune questioni aperte rispetto alle quali la Caritas di Saluzzo pone molta attenzione: il monitoraggio degli ingressi e della “regolarità” delle assunzioni per i migranti accolti, la necessità di un accompagnamento all’uscita al termine del contratto, la cura della relazione per incidere positivamente sulla convivenza tra persone che si trovano per la prima volta a dividere gli stessi spazi.
Il modello dell’“Accoglienza Diffusa” appare ad oggi l’unico in grado di generare un “sistema dell’accoglienza” quando non si attiva quello in azienda, unendo aspetti di presa in carico della persona nelle sue diverse esigenze e un positivo impatto anche sul fronte lavorativo (basti pensare alla minore fatica negli spostamenti per il lavoratore). Un sistema che offre la possibilità di un monitoraggio e accompagnamento efficace soprattutto rispetto all’emersione di eventuali forme di sfruttamento lavorativo.
Anche quest’anno sono state aperte le strutture del progetto “Accoglienza Diffusa”. Il progetto, che coinvolge i Comuni di Saluzzo, Verzuolo, Costigliole Saluzzo e Lagnasco, prevede la messa a disposizione di strutture per offrire una soluzione abitativa temporanea ai braccianti che, non avendo trovato altre soluzioni, hanno un contratto di lavoro con un’azienda agricola con sede in uno dei 4 Comuni.
La gestione delle strutture quest’anno è in capo al Consorzio Monviso Solidale insieme ai Comuni coinvolti: i posti totali previsti per la stagione agricola 2019 sono 132.
I LUOGHI DELL’ACCOGLIENZA DIFFUSA
SALUZZO: la parte più consistente del progetto, in termini numerici, è l’ex-Casa del Custode del Cimitero con 23 posti dislocati su tre piani dell’abitazione, insieme ad altri 17 nella zona adiacente. Nel 2019 è stato realizzato un ampliamento della struttura, con bagni e docce che il Comune ha finanziato con i fondi della legge regionale Allemano del 2016. La cucina è esterna.
COSTIGLIOLE: qui il Comune ha messo a disposizione 8 posti in un alloggio in centro, vicino al Municipio. I fondi per i lavori di ristrutturazione sono sempre quelli previsti dalla legge regionale Allemano (promossa dall’ex sindaco di Saluzzo) che prevede un contributo di 25mila euro annui per i Comuni che attivano strutture per l’accoglienza abitativa degli stagionali, con l’obbligo che non siano utilizzate per più di 6 mesi all’anno. Altri 11-12 posti sono disponibili nell’ex casello ferroviario, “storica” struttura di accoglienza per i braccianti.
LAGNASCO: le strutture sono costituite da container forniti, ormai da 3 anni, dalla Cooperativa Lagnasco Group attraverso un contratto di comodato d’uso gratuito con la Caritas di Saluzzo. Sono sistemati vicino alla sede della Lagnasco Group e al cimitero (in modo da rendere accessibili i collegamenti con le utenze come fognature, elettricità, acqua). Qui in totale sono disponibili 36-42 posti. I container non hanno riscaldamento e refrigeramento, hanno wc, docce e acqua potabile, oltre ad alcuni punti cottura realizzati sotto una struttura in ferro.
VERZUOLO: anche qui ci sono i container, sistemati vicino alla palestra comunale. I posti sono 30, uno dei container è utilizzato con spazio-cucina, all’esterno vi è un gazebo utilizzato cone refettorio. Sono presenti bagni e docce.
IL RUOLO DELLA CARITAS DI SALUZZO
Operatori e volontari si occupano (in accordo con il Consorzio Monviso Solidale) dei passaggi settimanali in ognuno dei quattro siti, incontrando i migranti, instaurando con loro un rapporto diretto, verificando i beni di prima necessità di cui hanno bisogno. Inoltre si occupano degli interventi in casi di malattia, ad esempio predisponendo il passaggio del bracciante dall’Accoglienza Diffusa a Casa Madre Teresa o invitandolo a presentarsi all’Ambulatorio Medico in Caritas.
Anche i Presidi mobili, realizzati settimanalmente, sono svolti per i lavoratori alloggiati nelle Accoglienze Diffuse: momenti di incontro, spesso la sera, per confrontarsi sulla giornata di lavoro, per offrire un piccolo quaderno per segnare le ore lavorate, per parlare del rinnovo dei contratti o dei documenti.
La Caritas, inoltre, partecipa alle riunioni con il Consorzio Monviso Solidale, confrontandosi con gli operatori che monitorano le strutture dell’Accoglienza Diffusa ed occupandosi della sistemazione logistica (ad esempio delle pulizie). Infine la Caritas fornisce ad ogni persona che entra in una delle strutture dell’Accoglienza Diffusa un kit di ingress costituito da copri-materasso, coperta, cuscino, federa, lenzuolo, sapone, asciugamano, dentifricio e spazzolino.
CHI ENTRA NELL’ACCOGLIENZA DIFFUSA
Ad usufruire di queste strutture sono i lavoratori che fanno domanda presso il PAS o presso lo sportello Infopoint della Caritas, mostrando un contratto di lavoro di medio o lungo periodo cioè superiore al mese, stipulato da un’azienda che ha sede in uno dei 4 Comuni coinvolti e che non ha trovato accoglienza in altro modo, ad esempio in azienda. Questo sistema è dunque limitato perchè vincolato al Comune in cui si trova l’azienda che offre lavoro. Gli altri Comuni dell’area saluzzese, circa 20, non hanno aderito al progetto.
La domanda del braccianti per un posto letto nell’Accoglienza Diffusa viene recepita dal Consorzio Monviso Solidale che seleziona i migranti. Ogni anno le domande superano di gran lunga i posti disponibili (solo a Costigliole restano esclusi pochi lavoratori perché la maggior parte trova ospitalità “in cascina” cioè presso le aziende per cui lavora).
Il lavoratore che trova posto in una delle strutture dell’Accoglienza Diffusa contribuisce alle spese con 0,70 € al giorno e il Comune dove dimora invita, tramite contributo volontario, il suo datore di lavoro a un versamento di 2,5 € al giorno.
[20 Agosto 2019 – la seconda parte della news sarà pubblicata a breve]
Anche Saluzzo Migrante è tra le voci raccolte dalla giornalista Daniela Sala per una lunga inchiesta su Radio Radicale dedicata alla situazione dei braccianti stagionali nel Saluzzese.
Nelle interviste ad Alessandro Armando e Virginia Sabbatini, il racconto delle attività svolte dal Presidio di Caritas Italiana a partire dal 2014 per supportare l’arrivo di questi uomini in cerca di lavoro con tutte le problematiche che la loro condizione comporta a livello alloggiativo, sanitario, amministrativo …
La stessa inchiesta è riportata in un articolo su Open Migration, sempre a cura di Daniela Sala: “La difficile situazione dei braccianti di Saluzzo”
Reportage da Saluzzo : parte 1 parte 2
Qui l’intervista ad Alessandro Armando, responsabile del progetto Presidio Saluzzo Migrante
Qui l’intervista a Virginia Sabbatini, operatrice del progetto Presidio Saluzzo Migrante
Qui l’intervista a Mauro Calderoni, sindaco del Comune di Saluzzo
Qui l’intervista a Luisella Lamberti, responsabile immigrazione della CGIL Cuneo
Qui l’intervista a Piertomaso Bergesio, segreteria della CGIL Cuneo
Qui l’intervista a Walter Vassallo, Comitato Antirazzista
Benedetta Aimone, 37 anni, dopo due esperienze in Africa prima della laurea, ha lavorato come medico di famiglia, mentre oggi esercita la libera professione occupandosi di medicina integrata.
Insieme alla dottoressa Paola Nicodemo, che ha attivato il primo ambulatorio ISI (centro di assistenza medica per immigrati irregolari, previsto per legge) su base volontaria a Saluzzo, ha organizzato e coordina dal 2014 l’ambulatorio medico per migranti stagionali di Saluzzo convenzionato con l’Asl Cn1 grazie ad un accordo con la Fondazione San Martino. L’ambulatorio ha sede in un locale messo a disposizione della Caritas, la Casa di Pronta Accoglienza, in corso Piemonte 63.
L’ambulatorio lavora in sinergia con lo sportello sanitario del progetto Presidio della Caritas come descritto in questo articolo pubblicato sul Notiziario dell’Ordine dei Medici della provincia di Cuneo n 2/19
Già dal 2009 una prima assistenza medica per i braccianti al loro arrivo nel territorio Saluzzese è stata data da alcuni medici volontari insieme a Benedetta Aimone. Inizialmente si operava con un camper insieme al Comitato Antirazzita.
Oggi nell’ambulatorio i migranti possono trovare medici che forniscono consulenze gratuite e un paio di dentisti che valutano la presa in carico dei vari casi. Queste prestazioni sono tutte volontarie, mentre per le visite specialistiche e gli esami i braccianti pagano il ticket come tutti i cittadini.
Benedetta, quali sono gli aspetti più importanti di questo ambulatorio medico stagionale?
“Per me è importante che non si agisca in modo emergenziale come accadeva al Foro Boario anni fa quando l’unica assistenza era fornita su un camper. È importante dare un accesso alle cure che sia dignitoso, come per tutti i residenti, con una facilitazione in più riguardante l’orario di accesso visti gli orari lavorativi prolungati. I medici di famiglia hanno orari di apertura ambulatoriale variabili, spesso non accessibili a questi lavoratori, inoltre non essendo residenti dovrebbero pagarsi la visita occasionale”.
Quali particolarità riscontrate rispetto ai pazienti dell’ambulatorio?
“Ci sono differenze dal punto di vista linguistico e culturale, non tutti i medici conoscono il francese e l’inglese. Quest’anno vediamo un fenomeno nuovo: sempre più giovani parlano solo il loro dialetto locale, come il bambarà o il mandinga, perciò non hanno una lingua di intermediazione e devono farsi accompagnare alle visite da amici che possano tradurre. Nei primi anni di apertura dell’ambulatorio c’erano più remore ad affidarsi ad un medico giovane e donna, cosa che oggi non abbiamo più riscontrato”.
“Le attenzioni in più che cerchiamo di avere sono rispetto alle condizioni di vita (ad esempio, durante il digiuno del Ramadan) e, in generale, al rischio di disidratazione e scorretta alimentazione perché alcuni disturbi sono strettamente legati a dove dormono e a come mangiano”.
Quale tipo di disturbi riscontrate maggiormente?
“Molti di questi lavoratori presentano problemi di stitichezza perché bevono poco, lavorano sotto il sole e mangiano prevalentemente riso e pasta. La maggior parte delle nostre visite è per disturbi lievi (dolori muscolari dovuti al fatto che dormono per terra o per l’uso della bici o per i pesi che sollevano quotidianamente, infezioni e infiammazioni delle alte vie aeree perché spesso sono senza riparo, disturbi digestivi e problemi odontoiatrici). Ci sono anche alcune situazioni specifiche, poche, che necessitano di una presa in carico ospedaliera o specialistica.
Riscontriamo di anno in anno che molti braccianti non hanno avuto accesso a cure sanitarie tempestive e si presentano con patologie non diagnosticate e non curate, forse perché in altre zone d’Italia è più difficile per loro l’accesso agli ambulatori di medicina generale; spostandosi continuamente inoltre perdono gli esami e le visite di controllo o non hanno i farmaci prescritti delle terapie croniche che dovrebbero seguire”.
Quali sono, invece, dal punto di vista psicologico i disagi più frequenti che riscontrate?
“È molto presente lo stress psicosociale che a noi arriva sotto forma di somatizzazione e ansia rispetto al proprio stato di salute. Le paure si fondano su una situazione di vulnerabilità psicologica anche per le condizioni a cui sono stati esposti sia in Italia che nei paesi di origine, e per la mancanza di una rete sociale di supporto.
La presa in carico psicologica ad oggi non avviene perché non ci sono risorse. Servirebbero specialisti formati in etnopsichiatria ed etnopsicologia che riescano ad adattare i modelli psicologici a quelli delle culture di provenienza. Ci sono disagi medi, dal punto di vista psicologico, più vicini al comune stress che possono essere gestiti a livello relazionale (con attenzione all’aspetto di cura, accompagnamento, comunicazione, contenimento). Ci sono stati, però, anche casi di psicosi acute e schizofrenia, che sono stati diagnosticati e trattati secondo i nostri parametri, ma che dovrebbero essere compresi e includere anche il significato culturale che la persona dà al sintomo. Un sostegno psicologico dovrebbe riuscire a prendere in considerazione tutti questi aspetti”.
Come ti ha cambiato questa esperienza di ambulatorio?
“Come persona, e come medico, l’impatto più forte è stato nei primi anni di assistenza, quando avevamo un approccio più informale e mancava l’ambulatorio strutturato: eravamo più a contatto con la loro difficile realtà di vita quotidiana. In quel periodo ho ospitato per un paio di mesi un giovane africano e questa accoglienza mi ha cambiato molto umanamente. Un cambiamento che poi è stato anche professionale, ampliando la mia ricerca a percorsi formativi paralleli, come la neuropsicosomatica”.
Cosa auspichi e cosa consigli a chi volesse fare volontariato nell’ambulatorio per migranti stagionali?
“Chi volesse fare volontariato presso il nostro ambulatorio dovrebbe ricordarsi chi sono queste persone perché non sono esattamente gli stessi pazienti che potremmo vedere in altre situazioni lavorative (nascono e vivono in contesti ambientali e culturali diversi, possono avere una predisposizione a malattie diverse, e questi sono aspetti che non possiamo dimenticare) tuttavia questa diversità è infinitamente inferiore all’uguaglianza, anche dal punto di vista medico, con la popolazione generale”.
Quali complessità si presentano a chi opera nell’ambulatorio?
“Una parte difficile di questo lavoro è l’avere un’attenzione in più rispetto ai pochi casi specifici, potenzialmente gravi, rimanendo però in un ambito in cui non vengano considerati diversi da tutti gli altri pazienti. La maggior parte dei sintomi e dei disturbi che lamentano sono infatti del tutto sovrapponibili a quelli del resto della popolazione. Dobbiamo saper bilanciare diversità e uguaglianza”.
[continua]
Grazie alla grafica Valeria Cardetti, quest’anno oltre alle storiche t-shirt, Saluzzo Migrante propone nuovi gadget il cui ricavato va a sostegno delle attività di supporto ai braccianti stagionali , in particolare per la ciclofficina e la boutique.
T-SHIRT (disponibili nelle taglie XS, S, M, L) serigrafate a mano e stampate su cotone organico:
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ZAINETTI nei colori bordeaux con biciclette gialle o blu con bicicletta arancione
Il tessuto che abbiamo scelto arriva da Continental Clothing, un prodotto EarthPositive®, che garantisce un tessuto 100% biologico, con certificazione etica ed un’emissione di anidride carbonica ridotta del 90%.
Questo perché i gadget di Saluzzo Migrante vogliono rappresentare anche un modo per rispettare l’ambiente e promuovere filiere che tutelano le condizioni salariali e lavorative di chi produce questi capi. Continental Clothing, infatti, adotta una politica di rispetto dei diritti di chi produce, assicurando condizioni sicure e dignitose per i lavoratori.
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Tutti i nostri gadget sono realizzati con grafiche originali di Valeria Cardetti e serigrafati a mano grazie al contributo dei nostri volontari.
Per ogni gadget è richiesta una donazione minima di :
– 10€ per le t-shirt
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Le donazioni saranno utilizzate per promuovere e sviluppare le attività e i servizi di Saluzzo Migrante.
Per informazioni e ritiro dei gadget: 348 1519518 (Martina)
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Il progetto di “Accoglienza Diffusa” per i braccianti stagionali vede un ampio ruolo di monitoraggio e accompagnamento da parte degli operatori della nostra Caritas. Tramite la referente Virginia Sabbatini, abbiamo voluto riportare il loro punto di vista su un modello che, come descritto nelle due News (parte 1 e parte 2) sul nostro sito, presenta notevoli punti di forza, ma anche criticità rispetto alle quali abbiamo proposto una serie di riflessioni.
Virginia, con quali obiettivi è nato il progetto dell’“Accoglienza Diffusa”?
“Questo progetto è nato in un contesto dove la precarietà abitativa è una condizione costante e paralizzante per i lavoratori stagionali. Le sistemazioni messe a disposizione garantiscono, invece, l’accesso ad un alloggiamento dignitoso e dotato di servizi adeguati. Le “Accoglienze Diffuse”, infatti, sono strutturate per accogliere al massimo 40 persone, in appartamenti, case o campi di container nei quali l’attenzione agli spazi è primaria. Si crea così un contesto più vicino al concetto di “casa”, una maggiore intimità, autonomia e dignità del vivere. Gli effetti positivi sono molteplici”.
Come cambia, all’interno di questo sistema, il ruolo dei braccianti?
“Diciamo che diventano finalmente “protagonisti dell’abitare”. I braccianti che riescono ad accedere ad un alloggiamento adeguato hanno cura del posto in cui abitano. La convivenza e la quotidianità sono autogestite, gli operatori facilitano e stimolano un rapporto di collaborazione tra gli ospiti nella gestione e pulizia degli spazi comuni. Senza dimenticare che è prevista da parte loro una compartecipazione economica”.
Quali sono gli effetti che riscontrate sulla qualità di vita dei braccianti e del loro lavoro?
“Innanzitutto si trovano a vivere molto più vicino al luogo di lavoro: un aspetto significativo per prevenire gli infortuni. I braccianti, infatti, sono molto più esposti ad infortuni se arrivano sui campi affaticati dai lunghi tratti in bicicletta. Inoltre si incide sul rischio di incidenti mentre raggiungono il posto di lavoro, una piaga che aumenta drammaticamente nella stagione autunnale quando, alla fine della giornata, ripartono percorrendo strade già buie.
Le persone accolte a Costigliole, ad esempio, quando dormivano ancora nella zona del Foro Boario erano costrette a svegliarsi ogni mattina alle 5 per avere il tempo di lavarsi e mangiare, viste le lunghe code che si creano in un posto sovraffollato dove i lavandini e i punti cottura sono pochi. Dopo salivano in sella percorrendo in bicicletta almeno 10 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, dopo nove o dieci ore di lavoro nei campi, dal lunedì al sabato. L’avvicinamento al luogo di lavoro, inoltre, contribuisce a contrastare la diffusione di servizi di trasporto illeciti o affidati ad intermediari o caporali”.
Quale impatto ha l’“Accoglienza Diffusa” sulle comunità in cui sono nate le strutture?
“Questo modello facilita l’integrazione e l’inserimento sociale: i piccoli numeri e gli spazi adeguati favoriscono la creazione di una rete sociale, l’instaurarsi di rapporti di buon vicinato e il rispetto delle norme di convivenza. A Verzuolo, ad esempio, i cittadini hanno organizzato delle serate per insegnare agli stagionali il sistema di raccolta differenziata “porta a porta” mentre a Saluzzo sono nati numerosi momenti di incontro, cene condivise e piccoli concerti”.
Spesso, rispetto ai luoghi in cui si ritrovano a vivere i braccianti, sentiamo parlare di veri e propri “ghetti” o “baraccopoli”. L’“Accoglienza Diffusa” può rappresentare un’alternativa a questo rischio?
“Crediamo di sì. La diffusione di piccole accoglienze sul territorio per le persone assunte stagionalmente che, con i contratti previsti dalle normative attuali non riescono a trovare alloggi da affittare, previene la formazione di grandi accampamenti abusivi dove la concentrazione delle persone in spazi inadeguati, la marginalità urbana e la mancanza di servizi concorrono a ghettizzare i braccianti, mettendo in pericolo la loro incolumità e quella del vicinato, oltre a cancellare la dignità di queste persone”.
Come si delinea il rapporto tra voi, operatori della Caritas, e le persone che seguite nell’ “Accoglienza Diffusa”?
“La nostra è un’azione di accompagnamento verso l’autonomia. Nelle Accoglienze Diffuse, il rapporto tra gli operatori e le persone ospitate è individuale e quotidiano. Si crea l’opportunità di conoscere meglio i braccianti, rendendo più efficaci e tempestivi gli interventi di cui necessitano (dall’accompagnamento sanitario al supporto per pratiche burocratiche). Come Caritas ci impegnamo a portare le nostre attività di Presidio nelle strutture dell’ “Accoglienza Diffusa”, affiancando gli operatori del Consorzio Monviso Solidale, per rendere più efficace il percorso di accompagnamento e autonomia dei lavoratori”.
Questa attività di monitoraggio ha effetti anche sul rischio di sfruttamento a cui possono essere esposti questi lavoratori?
“Tramite il monitoraggio nelle strutture dell’“Accoglienza Diffusa” emergono con maggiore chiarezza i lavoratori assunti per l’intero periodo di raccolta, nonostante non abbiano sempre rapporti di lavoro continuativi o con la stessa impresa agricola. Considerato il rischio di irregolarità nella costituzione e nello svolgimento dei rapporti di lavoro a cui sono potenzialmente esposti questi lavoratori stagionali, come evidenziato dal rapporto di Caritas Italiana “Vite Sottocosto” e dal recente “Protocollo d’Intesa sulla promozione del lavoro regolare in agricoltura” promosso dalla Regione Piemonte, è fondamentale in ogni progetto di “Accoglienza Diffusa” ragionare sulle modalità di supporto alla legalità. Durante i nostri Presidi mobili, ad esempio, è più facile confrontarsi con loro sulle condizioni di lavoro. Intanto perché è più facile incontrarli, rispetto a quelli che dormono nella cascina dell’azienda agricola per cui lavorano. Inoltre, avendo una sistemazione abitativa indipendente rispetto alla situazione lavorativa, hanno maggiore forza nel chiedere il rispetto dei loro diritti di lavoratori e delle previsioni dei contratti collettivi.
Il bracciante che dorme per strada o in un accampamento abusivo, infine, può incontrare più facilmente degli intermediari e fare affidamento alle reti di sfruttamento che forzano, rendono isolati e vulnerabili le persone che non hanno alcuna alternativa ad un rapporto di lavoro lontano dalla legalità. Nelle “Accoglienze Diffuse” consegnamo i libretti per segnare le giornate e le ore trascorse nei campi: uno strumento per provare a chiedere il riconoscimento del lavoro effettivamente svolto, in un settore nel quale la mancata contribuzione è sistematica. L’evasione contributiva si traduce nell’impossibilità di accedere a tutele e diritti: la disoccupazione agricola, la mutua, l’ottenimento di un permesso di soggiorno…
Uno strumento per chiedere una equa retribuzione e per monitorare straordinari, festivi, giornate di riposo. Riteniamo che alcune situazioni il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori derivi dall’attuale funzionamento della filiera agricola: in un settore nel quale si continua a generare ricchezza, i piccoli imprenditori del territorio faticano a coprire i costi di produzione. In questo scenario, oltre ad unirci a loro nel chiedere maggiore trasparenza e una distribuzione più equa alle grandi organizzazioni produttive, pensiamo che gli agricoltori debbano investire nella corretta retribuzione e contribuzione dei loro dipendenti (che in alcuni casi permetterebbe loro di accedere al mercato privato degli affitti) e che possano sfruttare progetti come l'”Accoglienza Diffusa” e i Campus Coldiretti per organizzare meglio le sistemazioni alloggiative dei braccianti non residenti sul territorio. Servirebbe, in questo senso, una richiesta più forte alle amministrazioni dei Comuni non ancora aderenti all'”Accoglienza Diffusa”, per organizzare gli alloggiamenti in funzione del reale fabbisogno del territorio”.
In che modo l’”Accoglienza Diffusa” incide, invece, sul territorio?
“L’Accoglienza Diffusa prevede la costruzione di una partnership tra imprese agricole, lavoratori, enti locali ed associazioni del terzo settore finalizzata a migliorare gli interventi sul territorio. Offre, inoltre, un servizio alle imprese agricole sprovviste di strutture adeguate ad alloggiare i dipendenti stagionali, nel momento in cui siano arrivati al di fuori del “Decreto Flussi”. In alcuni Comuni come Saluzzo e Costigliole, ad esempio, questo sistema ha rappresentato anche un’occasione per riqualificare immobili in disuso”.
L’accompagnamento da parte della Caritas non si limita però all’ ”Accoglienza Diffusa” …
“Per le persone che lavorano sul territorio per un periodo superiore ai 5 mesi, come Caritas, insieme ad altri enti del terzo settore, interveniamo con un progetto di inserimento abitativo di lungo periodo, per facilitare la residenzialità e l’interruzione del percorso migratorio interno del bracciante. Si tratta di una tappa fondamentale del processo di integrazione: crediamo che la residenzialità sia oggi più che mai essenziale nelle pratiche di rinnovo dei permessi di soggiorno, nell’accesso ai servizi e nell’esercizio attivo dei propri diritti”.
[continua]